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Al confine tra usi commerciali, informativi, storici o d’archivio: il caso Ferragamo/Hepburn

Con ordinanza in data 8 aprile 2024, la Corte di Cassazione si è pronunciata in merito al caso introdotto dagli eredi di Audrey Hepburn i quali lamentavano l’illegittimità dell’uso del nome della defunta attrice in associazione ad alcuni modelli di scarpe della Salvatore Ferragamo S.p.A., descritti come specificamente realizzati per Audrey Hepburn o comunque indossati da quest’ultima, in assenza di specifico accordo fra le parti. Più precisamente, con riferimento al sandalo “Gondoletta” si leggeva nel materiale di comunicazione della società che “il modello venne indossato da Audrey Hepburn”; mentre con riferimento alla ballerina “Ira”, che “il modello originale fu creato da Salvatore Ferragamo nel 1959. È uno dei numerosi modelli inventati da Salvatore Ferragamo per l’attrice Audrey Hepburn”.

Nel trattare il presente caso la Corte si è dovuta quindi esprimere su un caso per così dire di “di confine” in cui l’uso per finalità commerciale si combina con l’uso informativo.

In proposito, la Cassazione ha autorevolmente aderito all’orientamento secondo cui la sussistenza di uno scopo commerciale o pubblicitario non vale di regola ad escludere qualsiasi fine informativo e, conseguentemente, ad escludere sempre e comunque la legittimità dell’utilizzo del nome o dell’immagine altrui.

La Corte ha infatti argomentato che, aderendo alla suddetta tesi, si perverrebbe a una conclusione assurda e contrastante con l’intezione del legislatore. Si avrebbe infatti un’inaccettabile compressione del diritto di informazione, il quale verrebbe così riconosciuto e riservato solo ad iniziative prive di scopo di lucro e, dunque, a iniziative poste in essere da enti pubblici o da soggetti privati che intendano dare vita ad attività benefiche, quando per contro è noto che sovente le esimenti finalità informative, didattiche o culturali coesistono con finalità di lucro, in relazione al fatto che tali finalità vengono soddisfatte mediante l’esercizio di un’attività imprenditoriale con finalità lucrativa.

Piuttosto, la Corte ricorda come nel risolvere casi di confine occorra sempre condurre un’attenta ponderazione degli interessi in gioco, considerando il quadro normativo applicabile, nel caso di specie dato, nella prospettiva fatta propria della Corte, dai diritti al rispetto del proprio nome e della propria identità personale (artt. 2 e 22 Cost. e 8 CEDU), alla libertà d’impresa di cui godono gli operatori economici (art. 41 Cost. e 16 Carta di Nizza) e all’interesse degli individui ad essere informati (artt. 2 e 21 Cost., 10 CEDU e 11 Carta di Nizza).

Sulla scorta di tali argomentazioni la Corte ha quindi confermato la liceità dell’uso del riferimento al nome della celebre attrice nel contesto del materiale di comunicazione dalla casa di moda.

Si noti peraltro che la denominazione dell’attrice Audrey Hepburn formava altresì oggetto di marchio registrato e che, nella decisione della Corte di Appello poi oggetto di ricorso in cassazione, tale uso era stato incidentalmente ritenuto “non indebito”, dunque legittimo. Sebbene la Corte di Cassazione non sia potuta entrata in argomento per motivi procedurali, il passaggio evidenzia come la materia del contendere e i principi ivi espressi possano in astratto gettare luce anche su possibili casistiche relative ad usi descrittivi del marchio altrui.

In conclusione, si tratta di un precedente di interesse per autorevolezza e livello argomentativo.

Le ricadute pratiche potrebbero essere relative ad esempio ai cosiddetti usi storici o d’archivio che spesso non vengono espressamente disciplinati nei contratti di licenza ma che pure costituiscono una esigenza delle imprese che intendano documentare e contestualizzare il proprio operato e le proprie collaborazioni con terze parti in una prospettiva storica.